Eh si, le favole hanno permeato il nostro immaginario. Può succedere dunque che certuni scambino il fantastico per reale. Niente di male: in fondo a tutti piace l’astrazione.
La cosa però diventa inquietante quando a credere alle favole sono ben diciassette sindaci della Valceno e della Valtaro, preoccupatissimi per il ritorno del lupo; anzi, di branchi di lupi.
Fa specie che un numero cospicuo di primi cittadini accetti per vero delle dicerie, come quella paventata per cui persino delle persone sarebbero state fatte oggetto di attacchi da parte di lupi.
Se stiamo alla cronaca, dobbiamo risalire ad almeno un secolo e mezzo fa per trovare casi di persone attaccate dai lupi. Per contro, dato ovviamente atto che il lupo è un predatore, sappiamo che il suo ritorno è indice di ricchezza di specie ed abbondanza, soprattutto di ungulati dei quali si ciba ( cinghiali, caprioli, daini).
Certo, può anche succedere che, se affamato, il lupo si avvicini alle stalle, alle masserie e possa attaccare vitellini, cani e altre specie domestiche e di allevamento.
Sicuramente i proprietari dei capi di bestiame possono averne un danno che, giustamente, va risarcito. Però, tra questo e parlare di allarme sociale ce ne corre.
In compenso il lupo può veicolare turismo. Sono molte infatti le persone sensibili ai temi dell’ecologia che non solo non temono l’incontro col lupo ma lo auspicano. Ci sono intere famiglie che, armate di cannocchiali, macchine fotografiche, assieme a guide esperte, percorrono molti sentieri dell’appennino alla ricerca del re dei boschi.
Dunque, lungi dall’essere una disgrazia, il lupo, se accettato come risorsa, può favorire il turismo ecologico attento alle tematiche ambientali e al rispetto della biodiversità. Del resto, la maggiore ricchezza, delle valli del Ceno e del Taro, sono la bellezza del paesaggio, l’aria pulita, l’acqua buona. La valorizzazione di queste peculiarità può essere strategica anche per alimentare l’economia (sostenibile) delle due valli.
Su una cosa i sindaci hanno assolutamente ragione: da queste parti c’è un feroce lupo, di dimensioni mostruose, molto più spaventoso di quello di Cappuccetto Rosso. Questa bestia famelica si chiama spoppolamento. Peccato che i sindaci non se ne accorgano e, anche se ne hanno percezione, non fanno nulla per tentare di limitarne gli effetti.
Gran parte dei diciassette comuni diretti dai sindaci che hanno firmato la lettera allarmata per i lupi, indirizzata alla Regione Emilia-Romagna, hanno un indice di vecchiaia attorno al 500% se non superiore: come nel caso dei comuni di Bardi, di Valmozzola, di Bore. Vale a dire che, per ogni ragazzo di età inferiore ai 15 anni ci sono 5 ( e più) persone sopra i 65 anni.
Le statistiche demografiche sono impietose. Se prendiamo in considerazione la percentuale delle nascite dell’ultimo decennio, quella delle morti, il numero degli abitanti, possiamo costruire la curva di sopravvivenza delle comunità di questi comuni. Una per l’altra, i numeri (i numeri, non le opinioni!) dicono che, nel volgere di un ventennio ( 16/20 anni) la popolazione di questi luoghi si estinguerà.
La curva suindicata, con dieci possibili scenari simulati, mostra come, fatto 100 la popolazione iniziale, con una natalità del 3,5 x 1.000 e una mortalità del 24 x 1.000 (dato medio delle valli del Taro e del Ceno, fonte: ISTAT) dopo 16-20 sia poco più che dimezzata.
Naturalmente il collasso potrà avvenire anche prima, perchè, sotto certe soglie numeriche, diventerà difficile, per la restante popolazione, sempre più vecchia e sempre più svuotata nella classe 0-64 anni, permanere nelle due valli. Inoltre, per gli Enti Pubblici risulterà assai problematico mantenere i servizi erogati e, in generale, il welfare.
Si succederanno le chiusure, come quella dell’Ospedale di Borgo Val di Taro; poi vi saranno accorpamenti tra comuni: progetto già in itinere, nel tentativo di limitare i danni. Ma quest’ultimo è solo un espediente per ridurre i costi e “serrare le fila”. Fatto che, peraltro, non sposta di un millimetro la questione dello spoppolamento.
Collasserà anche la rete commerciale, perchè i negozi esistenti saranno sempre più vuoti e sotto la soglia di convenienza; per cui, una dopo l’altra, saranno molte le saracinesche abbassate.
Senza un piano strategico che punti ad unire le forze, a mettere al centro la bellezza come ricchezza, la possibilità di attività sostenibili, non invasive e rispettose dell’ambiente, il destino di questi luoghi pare scontato.
Certo, i comuni da soli possono fare poco d’innanzi alla crisi demografica. Tuttavia il territorio ha grandi energie sottoutilizzate. Bisogna incoraggiare i giovani a tornare al lavoro della terra. Servono progetti sostenuti, promossi dagli stessi Enti Locali.
Dove sono i piani, del resto possibili, per l’utilizzo dei Fondi Strutturali Europei di cui dispone la Regione e che ammontano, per il periodo 2014-2020 alla bella somma di un miliardo e trecento milioni di euro? Possibile che l’unico elemento che è riuscito a mettere d’accordo diciassette sindaci, spesso in contrasto tra loro, sia il povero lupo?
Quello che manca, in questo clima asfittico di gestione dell’ordinaria amministrazione, è il senso della prospettiva; è il chiedersi che ne sarà di questi luoghi tra dieci, vent’anni. Chiederselo è obbligatorio, proprio negli anni in cui la crisi grava pesantemente anche e sopratuttto sulle grandi città che, da tempo, hanno perso la loro capacità attrattiva e non sono piu’ in grado di offrire posti di lavoro.
Per cui viene a cadere anche una delle ragioni storiche dello spoppolamento di queste due valli. Per contro, non sono pochi i giovani e meno giovani che, sensibili ai temi dell’ecologia, pensano di ritornare a vivere in campagna, a costruire alternative al posto fisso, ormai una chimera per molti.
Spetta agli Enti Pubblici divenire “lievito” di progetti utili a ripopolare questi luoghi.
Ci auguriamo che ciò sia possibile. Il declino non è inevitabile ma solo a condizione che si prendano provvedimenti seri. Diversamente, con buona pace dei sindaci , qui vivranno solo i lupi.
La rivoluzione industriale si può dire essere stata una pietra miliare nella storia Europea
Sostanzialmente la rivoluzione industriale ha portato alla trasformazione dell’allora sistema economico, mutandolo da sistema artigianale basato sulle merci a sistema basato sui capitali.
Con la rivoluzione industriale, abbiamo inoltre assistito a mutamenti nei sistemi di lavorazione e di produzione , dove una prima R.I interessò il settore tessile metallurgico, una seconda portò all’introduzione dell’elettricità dei prodotti chimici e del petrolio, infine vi fu un ulteriore rivoluzione industriale : quella delle comunicazioni
Con la rivoluzione industriale ai assiste al verificarsi di un insieme di modificazioni ed invenzioni , esse portarono al raggiungimento di vari traguardi influenzando l’economia a divenire e mettendo in atto profonde trasformazioni, che videro, il cambiamento del sistema da agricolo-artigianale ad industriale, caratterizzato dall’impiego di macchine non più azionate dalla forza umana o animale ma dalla forza meccanica, si assistette all’inizio dell’ abbandono drastico delle campagne, ed a un aumento notevole della popolazione con l’inizio di un processo di crescita sfrenata ai consumi .
Arrivando quindi ad oggi, sono d’accordo con chi va chiedendo la messa in moto di un processo inverso , che veda un mutamento dell’economia globale dirigersi verso un capitalismo redistributivo
Un sistema, quindi, nuovo ma antico, che permetta di creare condizioni per cui la popolazione possa migrare dalle città alle campagne riequilibrando così la concentrazione di abitanti per chilometro quadrato , modificando la realtà odierna del nostro territorio che vede chilometri e chilometri di campagne incolte e piene di rovi, dai quali spuntano ruderi di case coloniche in abbandono.
Non è del lupo che dovremmo avere paura , ma del degrado economico, sociale e del nostro territorio che ogni giorno si fa sempre più forte