L’Italia delle disuguaglianze

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Ci sono alcune leggende metropolitane che meritano di essere sfatate.
Una di queste riguarda la presunta perenne arretratezza del Sud Italia rispetto al Nord.
Analizzando i dati di una fonte autorevole come la Banca d’Italia si possono ottenere informazioni molto interessanti.
Questa, per esempio: il PIL pro capite, alla vigilia dell’unificazione nazionale, era del tutto simile  tra sud e nord.
Anzi, la Sicilia era più avanzata della Lombardia, pari al Piemonte; inferiore solo a Liguria e Lazio.

delta_PIL
Bisogna risalire al 1911 per vedere come il differenziale del PIL diventi strutturale e con un delta sempre piu’ significativo. Processo di disunione che si consolida nel 1951.

PIL_cartina_Italia

Ma qual era l’economia del meridione italiano negli anni immediatamente precedenti l’Unità?
Con questo lavoro, necessariamente limitato e per sommi capi, vorremmo capire due aspetti.
Il primo: produzione, reddito, redistribuzione tra le classi sociali al sud e al nord

Il secondo: le dinamiche recessive del sud e le ragioni del divario.

Negli anni attorno al 1846 nel meridione c’erano aree a vocazione agricola piuttosto sviluppate: in particolare quelle costiere, dove erano largamente praticate le coltivazioni dell’ulivo, degli agrumi, della canapa, del gelso utilizzato per la bachicoltura; mentre l’entroterra, ricco di foreste, si presentava piu’ arretrato. Per altro, la costa tirrenica era più progredita di quella adriatica. Non erano rare nemmeno le eccellenze, come la flotta mercantile siciliana, seconda solo a quella dell’Inghilterra.

Non di meno, la cessione di diritti reali che soppiantarono il regime feudale comportò un depauperamento del patrimonio forestale. Erano anni in cui il legname da costruzione era piuttosto richiesto dal mercato e a prezzi vantaggiosi; per cui le prese di beneficio furono notevoli e i disboscamenti perpetrati senza alcun criterio selettivo e fuori da ogni piano di coltivazione. Per giunta, il disboscamento corrispose all’esigenza di fare spazio all’implementazione di colture cerealicole. Di pari passo, l’estensione del suolo occupato per la produzione di cereali e granaglie costrinse i proprietari di armenti a ricercare altre aree di pascolo per il bestiame (prevalentemente ovini); per cui, ai disboscamenti ne seguirono altri per permettere la transumanza. A lungo andare, questo saccheggio di larghissime porzioni di territorio dell’Abruzzo, del Molise, delle Puglie, della Basilicata, comportò inaridimento del suolo, siccità e, complessivamente, arretramento della redditività economica.

A tutto questo va aggiunta la questione sociale: il bestiale sfruttamento della manodopera salariata, in ragione della sempre minore competitività delle merci sul mercato interno ed estero. Il crollo dei prezzi di molte derrate agricole rese problematica la presenza sui mercati; ragione per la quale gli agrari, i baroni, non trovarono altro modo di tenere bassi i prezzi che comprimere ulteriormente le già grame condizioni di lavoro e di vita dei braccianti. Ciò generò tensioni e rivolte: tutte pesantemente represse.

Delle repressione dei moti contadini ne abbiamo testimonianza sui libri di storia: basti pensare all’eccidio di Bronte e all’instancabile lavoro dei garibaldini, comandati da Nino Bixio, nella repressione di ogni tentativo insurrezionale.

Negli anni successivi all’Unità d’Italia, come risulta dai censimenti ISTAT, a partire dal 1861 ventisette milioni di italiani lasciarono il Paese, in quella che è stata definita la “prima emigrazione”. Di questa cifra , una parte significativa appartiene alle popolazioni meridionali. La “questione agraria”, che Gramsci fa coincidere con la “Questione Meridionale”, rappresenterà l’aspetto nodale dell’arretratezza del sud.

Se guardiamo il grafico del PIL pro-capite, possiamo osservare come, nonostante tutto, il divario tra nord e sud non fosse poi così significativo, almeno fino al 1911.

Diventa comunque drammaticamente evidente nel 1951. Un anno prima, per iniziativa di Pasquale Saraceno, grande meridionalista, era nata la Cassa del Mezzogiorno.

Lo scopo fu, tramite il dirigismo statalista, di intervenire in quelle aree del meridione a più basso sviluppo, con iniziative volte a creare un tessuto infrastrutturale e industriale, in grado di costituire un volano per lo sviluppo. Quod non fecerunt barbari, fecerunt Baberini, recita un antico motto.

La “Casmez” si rivelò ben presto un pozzo senza fondo. Gli investimenti, a macchia di leopardo, servirono più a creare cattedrali nel deserto, a dare il colpo di grazia all’agricoltura marginale, a foraggiare le mafie e, cosa ancora più grave, a costruire un orditura di sottogoverno di cui il meridione paga ancora il prezzo.

Il grafico del PIL che abbiamo riportato mostra una esatta specularità tra nord e sud: una sorta di negativo fotografico; per cui, al crescere del PIL al nord c’è piena corresponsione di uguale decremento al sud.

Nell’Italia del secondo dopoguerra è prevalsa l’idea megalomane: grandi progetti, sviluppo industriale forzato, per fare dell’Italia un colosso industriale in grado di competere coi paesi del nord Europa. L’Idea del Cattaneo di un’Italia federata che assecondasse le peculiarità dei territori uscì sconfitta.

Del resto, le classi dirigenti del nord avevano (ma forse è riduttivo parlare al passato) una vocazione nettamente mirante a conquistare i mercati del nord e ad essere competitivi in quelle aree. Il sud fu ridotto a “colonia”, a serbatoio di manodopera e, grazie ai lucrosi appalti pubblici, a luogo di affarismo per le grandi imprese del nord.

La spesa storica della Cassa fu di 279.763 miliardi di lire, pari a circa 140 miliardi di euro; con risultati del tutto deludenti. Nel “giardino d’Europa” sorsero i petrolchimici di Gela, di Cagliari, gli stabilimenti siderurgici di Taranto, e, dopo i fatti di Reggio capoluogo, con la rivolta capitanata dalla destra eversiva, si diede corso alla costruzione del Quinto Centro Siderurgico di Gioia Tauro: opera iniziata e mai compiuta, per la sua evidente inutilità. Ma, tant’è, in quegli anni, nel mondo politico e nel sindacale tutto girava la convinzione che fosse “meglio un centro siderurgico inutile, piuttosto che il fascismo a Reggio Calabria”. Dove un tempo c’era una piana ubertosa, coltivata ad aranceti e bergamotti, venne fatta tabula rasa. Oggi  sul luogo sorge il porto.

E oggi?

Tutti gli indicatori economici, comprese le statistiche dell’ISTAT, i Bollettini della Banca d’Italia, mostrano come aumenti il delta tra nord e sud; mentre, al di là delle vane promesse, non si intravede la via per una ripresa economica; né al nord né al sud. Sebbene, in termini percentuali, la crisi abbia colpito più il nord del sud, è nella maggiore area di disagio, cioè al meridione, che si fa sentire maggiormente.

Ora si tratta di capire, alla  luce delle politiche fallimentari degli ultimi centocinquant’anni, se esiste la volontà di una svolta profonda che cambi radicalmente metodi e indirizzi.

Certo: cambiare ora non è facile perché, in un lasso di tempo di circa due secoli, è stata profondamente modificata la vocazionalità di quei territori ed è oggettivamente difficile, dopo lo scempio, ipotizzare delle alternative credibili, in grado di costruire un modello di sviluppo sostenibile..

Dentro allo Stato e contro lo Stato,si sono sviluppati poteri criminali che hanno funto da succedaneo ai troppi “vuoti” nell’economia, nella finanza, nella vita pubblica in generale.

Nonostante lo scempio edilizio delle coste, l’abbandono di gran parte dell’entroterra appenninico, la pesante crisi industriale e conseguentemente occupazionale, le speranze di una ripartenza stanno tutte in un viraggio di centottanta gradi. Vanno ribaltati completamente i paradigmi che hanno portato all’attuale disastro economico e sociale.

Il sud ha molte risorse endemiche e latenti. Certo non è una buona notizia quella che ha diffuso ora, nel momento in cui scrivo, il TG di Mentana. A quanto pare il Governo Renzi vorrebbe ripristinare il Ministero per il Mezzogiorno.

Mio malgrado, temo di avere trovato le risposte alle mie tante domande. In fondo il Gattopardo non è mai morto.

BIBLIOGRAFIA:

Giorgio Candeloro – Storia dell’Italia Moderna vol. II – Feltrinelli Editore

Vittorio Daniele, Paolo Malanima-Il divario Nord-Sud in Italia, 1861-2011 –  Google Libri

Giovanni Federico – Ma l’Agricoltura Meridionale era davvero arretrata?- Rivista di Politica Economica – mar-apr. 2007

ARCARI P.M., Le variazioni dei salari agricoli in Italia dalla fondazione del Regno al 1933, Annali di statistica, serie 6, vol. XXXVI, Roma, 1936

ISTAT – Annuario Statistico Italiano – serie Storiche

I Grafici sono tratti da: Vittorio Daniele, Paolo Malanima-Il divario Nord-Sud in Italia

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Originario della provincia di Sondrio, ho vissuto per molti anni a Sesto San Giovanni (MI) occupandomi di Garanzia della Qualità, prima come dipendente poi come libero professionista. Da otto anni vivo in una frazione del comune di Compiano (PR). Quando ci siamo tutti siamo in tredici persone. Cerchiamo , mia moglie ed io, di autoprodurre tutto quello che ci serve e di condividere con gli amici del GAS, del quale facciamo parte, acquisti e filosofia di vita. Sono laureato in Scienze Statistiche. Mi occupo di biodiversità come ricercatore. Sono coordinatore del Centro ISPRA dell'Appennino Parmense, per lo studio del suolo e degli effetti dell'impatto antropico.

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