Le trappole della ‘natura umana’ e del neopositivismo

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Un commento negativo al Manifesto per un’Europa decrescente è per me l’occasione di demolire alcuni luoghi comuni ricorrenti. Lo riporto integralmente (depurato da errori linguistici).

Teorie che, come tutti i manifesti di tutte le ideologie, illudono sulla carta ma non sono realizzabili nella pratica.
Perché? Perché non considerano la natura umana il cui istinto di sopravvivenza si basa sull’egoismo e la sopraffazione, perché non considerano le variabili genetiche, i difetti, le carenze, le patologie ecc.
Fallisce il comunismo perché l´uomo senza incentivi o motivazioni non lavora, fallisce il capitalismo perché premia l´egoismo e la speculazione e castiga chi lavora, fallisce il socialismo perché si oppone alla creatività e alle differenze, falliscono tutti perché tutti quelli che possono fare qualcosa non meritano il posto che occupano limitati dalle loro stesse carenze, difetti, patologie.
Come liberarci dai dogmi, dai fondamentalismi, dagli interessi piú o meno legittimi che frenano l´evoluzione umana? La scienza è arrivata al 21° secolo, l´uomo è rimasto “ai secoli bui“.
Sí, è assolutamente e perentoriamente necessaria la decrescita ma solamente della popolazione la quale deve essere sostenibile e fondata sulla culturizzazione non dottrinale ma universale dei popoli e ridimensionare il sistema economico per porre la scienza e la tecnologia al servizio dell’umanità.
Non sará facile….affatto.

Partiamo dalla ‘natura umana’. Il famigerato leader della Hitlerjugend Baldur von Schirach metteva mano alla pistola ogniqualvolta sentiva la parola ‘cultura’, io invece (metaforicamente parlando, si intende) lo faccio quando si parla di ‘natura umana’ e concetti analoghi. Troppo spesso, infatti, la ‘natura umana’ – cioé qualcosa di assolutamente vago, a cui confronto la nozione di ‘chimera’ è chiara e distinta  – viene tirata in ballo come espediente truffaldino, per universalizzare un comportamento spesso totalmente minoritario e isolato. Così puoi dimostrare tutto e il contrario di tutto, come la storia insegna.
Il capitalismo, da Adam Smith in poi, ha legittimato il suo carattere egoista e rapace in quanto fedele specchio dell’indole dell’homo oeconomicus, di cui l’antropologia seria non ha mai trovato traccia, anzi: gli studi sul dono intrapresi da Marcel Mauss e dalla scuola di pensiero a lui ispirata (il M.A.U.S.S., Movimento Anti-Utilitarista nelle Scienze Sociali) portano in direzione esattamente opposta.
Ancora prima del filosofo inglese, Machiavelli e Hobbes giustificavano il potere repressivo del sovrano a causa della ‘malvagità intrinseca’ del genere umano. Persino l’ex presidente della FED Alan Greenspan ha tentato pateticamente di sminuire le proprie responsabilità nella crisi finanziaria adducendole alla ‘volubilità’ della natura umana!
‘L’evidenza dei fatti’ (dati sempre per scontati e mai esposti), che dovrebbe provare l’egocentrismo della specie umana, dimostra in realtà l’esatto contrario. Non bisogna commettere l’errore fatale di confondere ‘natura’ e ‘condizione’ umana, quest’ultima risultato di influenze esterne e quindi contingenti. Se l’uomo non fosse predisposto naturalmente alla cooperazione, non ci sarebbe alcuna società complessa – anzi, non ci sarebbe proprio nessuna società. L’umanità al più sarebbe qualcosa di simile alla scena iniziale di 2001 Odissea nello spazio. Gli squali sono animali primitivi rispetto ai delfini, e quindi a maggior rischio di estinzione, perché prediligono comportamenti egoistici che li rendono molto più vulnerabili. la cooperazione è forza, l’egoismo debolezza.
La visione dell’uomo egoista e utilitarista, guarda caso, coincide con la descrizione fatta dai teorici sostenitori del capitalismo più aggressivo. Ma pensare che l’ordine sociale capitalista sia conforme alla natura umana significa ignorare gli sforzi enormi intrapresi per imporsi sulle società. Dimostra non solo di non aver mai letto una riga di Marx, Foucault o Polanyi, ma di ignorare banalmente il motivo per cui ogni anno si spendono nel mondo quasi 500 miliardi di dollari in pubblicità. Una somma decisamente elevata per stimolare quelli che dovrebbero essere appetiti naturali e spontanei!

Per quanto riguarda comunismo, capitalismo e socialismo, il nostro commentatore non sembra avere le idee molto chiare. Il crollo del comunismo sovietico lascia intendere che l’egoismo non sia il valore dominante dell’umanità, altrimenti non ci sarebbe stato alcun problema a convivere con un paternalismo autoritario ma garante dei bisogni essenziali. Il capitalismo industriale, paradossalmente, per molti aspetti rappresenta l’apoteosi della cooperazione, purtroppo ingabbiata all’interno di strutture gerarchiche e orientate al profitto. Non capisco esattamente invece che cosa si intenda per ‘socialismo’, che se considerato ‘fallito’ va identificato con una forma di governo realmente implementata: un sistema di welfare e protezione sociale in stile svedese? In tal caso, la crisi – parlare di fallimento è eccessivo – deriva dal fatto che la sua conservazione dipende dall’illusione della crescita continua, come tutti i sistemi socialdemocratici.
Ma dopo tanta critica qual è la pars costruens? Partendo dalla constatazione per cui “La scienza è arrivata al 21° secolo, l´uomo è rimasto ai secoli bui”, si propone la decrescita “ma solamente della popolazione” e “fondata sulla culturizzazione non dottrinale ma universale dei popoli e ridimensionare il sistema economico per porre la scienza e la tecnologia al servizio dell’umanità”.
Insomma, dopo tanta enfasi sui mali del mondo, la soluzione proposta consiste nel rafforzare ulteriormente la spina dorsale dello status quo (la struttura tecnica) e la sua ideologia fondante, contenendone quelle che sarebbero solo degenerazioni improprie dovute al mercato.
Trascuriamo i corto circuiti logici, per cui non si capisce da dove spunterebbe questa tecnologia più avanzata delle menti che la creano – a meno che non sia stata donata provvidenzialmente da qualche Prometeo. La via della salvezza consisterebbe nell’occidentalizzare ancora di più il mondo e confidare ulteriormente nell’apparato tecno-scientifico. Insomma, ecco la ricetta vincente: più tecnologia, meno umanità – e qui temo che ‘l’umanità’ non sia più considerata in astratto, sospetto che gli umani  invitati a farsi da parte abbiano prevalentemente la pelle nera e gli occhi a mandorla.
Questa filosofia di pensiero non è affatto nuova, si chiama positivismo e ha già procurato abbastanza danni. Nel XIX secolo ha illuso l’umanità che si potessero evadere i limiti naturali, e per convincerla è ricorsa a una propaganda martellante volta a realizzare un vero e proprio mutamento antropologico. Oggi i rigurgiti del positivismo rinnegano l’umanità forgiata a sua immagine e somiglianza, chiedendo invece di limitare la decrescita ‘solo alla popolazione’, nel tentativo di perpetuare assurde utopie tecnocratiche. Chi ha provocato la catastrofe si propone di risolverla, senza alcuna autocritica, diminuendo la ‘dose’ di umanità così come si contiene lo sviluppo delle cellule cancerose.
E poi, realisticamente, anche immaginando di prendere provvedimenti draconiani contro la popolazione al fine di permettere il massimo sviluppo tecnologico, siamo sicuri che tale mirabolante innovazione sia a portata di mano? Riporto l’estratto di un articolo condiviso dal ricercatore spagnolo Antonio Maria Turiel sul blog di Ugo Bardi Effetto Risorse:

“Le grandi invenzioni e scoperte del diciannovesimo e ventesimo secolo continuano ad essere la colonna vertebrale dell’attuale civiltà: la teoria dell’atomo (1803), la locomotiva (1825), il frigorifero (1834), il telefono (1876), la corrente elettrica e le lampadine a incandescenza (1879), l’automobile e i motori a combustione (1886), gli aerei ad elica (1890), il cinematografo (1894), la stufa elettrica (1896), la televisione (1926), la penicillina (1928), il radar (1931), il motore a turbina (1939), il transistor (1947), il microprocessore (1971), eccetera. In tutti questi apparecchi, è stata migliorata solo la tecnologia ad essi associata. Vengono perfezionati ma non c’è un salto qualitativo dell’invenzione umana come è avvenuto nei due secoli precedenti. I tecno ottimisti hanno previsto colonie sulla Luna e viaggi su Marte nel ventunesimo secolo, mentre come novità abbiamo solo reti sociali e giochi 3D al computer…Viviamo in una civiltà che ha un’enorme capacità agricola e industriale assicurata fondamentalmente da petrolio, gas e carbone. E’ impossibile che possano evolversi tecnologie superflue per la sopravvivenza umana, come la nanotecnologia, se non c’è un’infrastruttura sufficientemente robusta che le protegga. Si da per scontato che l’infrastruttura vigente che divora sempre più energia non si incrinerà, fornendoci una base di sopravvivenza solida, necessaria e comoda che permette lo sviluppo di nuove tecnologie… Il tecno ottimismo è una visione utopica del futuro portata al parossismo con l’intento sublime di fondere l’uomo e la macchina come via per raggiungere l’immortalità”.

Scienza e tecnologia saranno fondamentali nel tentativo di contenere i danni ecologici e le relative ricadute sociali, ma solo svincolandosi dalle ideologie che veicolano, in particolare la ricerca ossessionante della prestazione e la pretesa di mettere in pratica tutto ciò che sia teoricamente realizzabile, anteponendo lo sviluppo della tecnica alle reali esigenze umane, secondo un dogmatismo non meno pernicioso del peggior credo fondamentalista. A tal fine occorre rimettere al centro i legami tra gli esseri umani, l’umanità e il suo rapporto con il pianeta, un rapporto che, non dimentichiamolo, è stato sostanzialmente armonico per circa duecentomila anni prima della parentesi industriale.
L’uomo pre-industriale non poteva evadere i limiti naturali perché privo di strumenti che gli permettessero di illudersi al riguardo. L’uomo post-industriale, cosciente di aver toccato con mano tali limiti, avrà modo di recuperare in pieno la caratteristica principale che caratterizza l’umanità quale appartenente ai mammiferi superiori, ossia lo spirito di cooperazione, combattendo i condizionamenti volti a instillare comportamenti egoistici. Certo su una cosa ha ragione il nostro commentatore: non sarà affatto un’impresa facile.

(Immagine in evidenza tratta da Wikimedia Commons)

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Nasco a Milano il 7 febbraio 1978. Sono un docente precario di italiano e storia nella scuola superiore, interessato ai temi della sostenibilità ambientale e sociale. Insieme a Jacopo Simonetta ho scritto 'La caduta del Leviatano. Collasso del capitalismo e destino dell'umanità, edito da Albatross Il Filo.

7 Commenti

  1. L’uomo esiste, con tutte le sue grandezze e le sue fragilità.
    Una società, sia essa primitiva o a tecnologia avanzata, è sempre un insieme di uomini e donne.
    Ragionare sulla “natura umana” è cosa da filosofi e psicologi.
    Ragionare sulle società è cosa da antropologi, sociologi, statistici.
    L’uomo, in quanto individuo, si annulla nella massa.
    Per legge fisica, piu’ vettori, pluridirezionati, con diversa forza, intensità e verso formano un insieme caotico la cui risultante rischia di essere nulla.
    Le società, motu proprio, sono immobili: tendono a comportarsi come foglie al vento d’autunno.
    Ciò che le direziona è, di volta in volta, una “causa efficace” che determina la formazione di “mode”, cioè concentrazioni di unità statistiche attorno ad un’idea, un progetto, una esigenza fisiologica benchè, spesso, non bene strutturata o preordinata.

    Ci sono società animali molto bene ordinate, come quella delle api: assolutamente straordinaria.
    Tra le api l’individuo non conta nulla. Conta la famiglia.
    Essa ha un ordine assolutamente rigido a cui ogni individuo si uniforma.
    La suddivisione dei compiti è ferrea e nessun individuo la mette in discussione.
    La sopravvivenza della comunità dipende dal fatto che ciascun individuo assolva al proprio compito.

    Nella società umana ciascuno vocazionalmente asseconda i propri istinti e, perchè no? Il proprio egoismo.
    Ognuno sarebbe sovrano di se stesso e varrebbe la legge del piu’ forte se, con l’illuminismo, ( vedi il Contratto Sociale di Rousseau) non fosse stata introdotta l’idea di “sovranità collettiva”.
    Il “corpo mistico” del monarca viene destrutturato e spalmato sulla società tutta; attribuendo ad essa diritti e doveri, soggiacenti ai principi di uguaglianza, fratellanza e libertà.
    L’Illuminismo riconosce gli inalienabili diritti della persona e li disciplina, nel novero del diritto universale delle società.
    La perdità di “sovranità personale”, afferma Rousseau, nel contesto in cui tutti i cittadini alla nascita la perdono, viene riacquisita come sovranità collettiva. Per cui , perdendola tutti, nessuno la perde ma, al contrario, si rafforza in quella sociale sociale, nell’interesse collettivo.

    Ma, una volta creata la moltitudine degli uomini liberi, come si sostanzia questa libertà e come si direzionano i comportamenti individuali?
    I comportamenti individuali, nel novero delle società, soggiaciono alle leggi, ai regolamenti, ai divieti, alle punizioni per i trasgressori.
    Senza costrizioni prevale il comportamento egoistico e anarchico.
    Sarebbe bello che ciascuno capisse che il carrello della spesa lo si deve riporre negli appositi spazi e non abbandonare sul piazzale del supermercato ma, se non c’è un sistema di sgancio degli stessi, possibile solo se si infila un euro, molti carrelli vengono lasciati in ognidove, dopo averne usufruito.

    Se non vengono tracciate le righe per terra che indichino come posteggiare, ciascuno lascerebbe la macchina in sosta a propria discrezione e sarebbe il caos.
    Dunque, nell’annullamento delle individualità nel collettivo, ciò che direziona i comportamenti è sempre la “causa efficace”.
    Gramsci, ragionando su “Il Principe” di Machiavelli, individua il “moderno” Principe nel partito: in una organizzazione volontaria di uomini liberi, dove l’intellettuale collettivo forgia il pensiero, lo porta a sintesi e trasforma le idee in azioni.

    Nella società del “plagio”, invece, la “causa efficace” è somministrata dalla comunicazione e da chi, ovviamente, possiede la possibilità di raggiungere grandi masse di popolazione, tramite i media.
    Cio è avvenuto ed avviene dopo che si è scientemente distrutta l’idea che le forme collettive di partecipazione non potessero essere idonee a risolvere i problemi.
    E’ stata instillata nel senso comune l’idea che tutto ciò che è collettivo sia illiberale e malevolo per la persona.
    La componente egoista dell’individuo è stata esaltata.
    La competizione , l’apparire, il primeggiare, l’arrivare prima e meglio degli altri, hanno sostituito l’idea dell’animale sociale.
    Conseguentemente la “causa efficace” si è essenzialmente rivolta a solleticare e alimentare l’ego, non l’interesse generale.
    Per lo piu’ è stata orientata ai consumi: a rinforzare l’idea secondo la quale “sei” se “hai”.

    Nel momento in cui è evidente il fallimento del modello economico e sociale, conseguente alla Rivoluzione Industriale, non è altrettanto chiaro quali possano essere le “cause efficaci” o, se vogliamo, le “idee forza” in grado di condurre le società moderne su altre sponde.
    Le idee della decrescita fanno fatica ad affermarsi, prima di tutto, perchè, nel senso comune, vengono fatte coincidere con la deprivazione che è cosa del tutto diversa.

    Così, nel 1977, a proposito dell’austerità, si esprimeva Enrico Berlinguer: “«L’austerità non è oggi un mero strumento di politica economica cui si debba ricorrere per superare una difficoltà temporanea, congiunturale, per poter consentire la ripresa e il ripristino dei vecchi meccanismi economici e sociali. Questo è il modo con cui l’austerità viene concepita e presentata dai gruppi dominanti e dalle forze politiche conservatrici. Ma non è così per noi. Per noi l’austerità è il mezzo per contrastare alle radici e porre le basi del superamento di un sistema che è entrato in una crisi strutturale e di fondo, non congiunturale, di quel sistema i cui caratteri distintivi sono lo spreco e lo sperpero, l’esaltazione di particolarismi e dell’individualismo più sfrenati, del consumismo più dissennato. L’austerità significa rigore, efficienza, serietà, e significa giustizia; cioè il contrario di tutto ciò che abbiamo conosciuto e pagato finora, e che ci ha portato alla crisi gravissima i cui guasti si accumulano da anni e che oggi sì manifesta in Italia in tutta la sua drammatica portata».

    Ma oggi, se riproponi il pensiero profetico di Berlinguer, vieni etichettato come “egoista della decrescita”

  2. Similmente a quanto fatto per un precedente commento, vorrei tentare di “estrarre” il nocciolo della questione:
    “qual’e` la “causa efficace” che spingera` la societa` alla Decrescita ? ”
    Cioe` quella spinta che, aperti gli occhi al mattino ci fara` agire individualmente fino a sera con piacere intrinseco e personale secondo i principi della Decrescita… cosicche` la somma di tutte le spinte individuali microscopiche risultera` nell’effetto macroscopico sociale.
    non certo un profitto economico,
    non certo un desiderio di potere,
    non credo proprio una legge istituzionale
    o una convenzione sociale.
    Forse un precetto religioso ?
    Oppure un condizionamento educativo ?
    O una necessita` fisiologica,
    ovvero una condizione ambientale finalmente compresa da tutti ?

  3. Giulio Manzoni, intervenendo nel dibattito creato nei commenti all’articolo di Igor Giussani, si pone il problema di cosa potrà spingere la società alla decrescita.
    Ripropongo un commento fatto a un altro articolo:
    ” Quattro punti leva
    Questo è il titolo di uno dei lavori che ho in preparazione.
    Questo lavoro tratta di ciò che porterà a una inversione di tendenza alla non sostenibile attuale situazione.
    Ispiratomi a un piccolo saggio di Donella Meadows individuo i seguenti quattro punti leva che porteranno a invertire l’attuale situazione:
    1) Le condizioni socio-lavorative di fasce consistenti di popolazione (soprattutto giovanili); il punto leva si riferisce alle inedite forme di lotta che queste fasce di popolazione metteranno in atto per risolvere le loro condizioni;
    2) I cambiamenti climatici e i disastri ambientali a essi connessi; il punto leva si riferisce all’insostenibilità economica e sociale di tali disastri;
    3) L’evoluzione della situazione nelle aree produttrici di risorse minerali ed energetiche; il punto leva si riferisce alla mancata sicurezza di approvvigionamento delle risorse, alla diminuzione delle quantità disponibili delle stesse risorse e al suo costo;
    4) La ricerca di nuovi valori che riempiano la vita”

    Ciao
    Armando

    • Ciao Armando, aspetto il tuo contributo ben sapendo che già in passato hai illustrato alcune idee-chiave. Sulla questione specifica del COME (in modo articolato) si possa evolvere alla decrescita, la tua visione è superiore alla mia. Qui vorrei solo dire due cose su come sono giunto a questo articolo. Innanzitutto non per ripicca contro il commentatore critico, ma perché non ne posso più di vedere derubricata qualsiasi proposta come assurda in nome della ‘natura umana’ malvagia, egoista, predatoria, ecc.
      Ogni volta che, su Facebook o altrove, ho provato a sostenere quanto detto nell’articolo, si sono scatenati flame terrificanti, da chi mi ha accusato di avere la scienza infusa a chi mi dipinge come un’ottimista inguaribile. Per quanto riguarda la prima, devo ancora capire perché chi emette giudizi categorici sulla natura umana sia più ‘umile’ e obiettivo di me, che dico che la natura umana è un concetto quanto mai vago e che i pochi studi seri dimostrano il contrario.
      Per il resto non sono affatto ottimista, è probabile che i condizionamenti esterni siano talmente forti da causare una lobotomizzazione collettiva irreversibile. Dico solamente che non ci troviamo di fronte a una situazione simile a quella di dover trasformare in vegano un pescecane, che se la cooperazione non fosse una qualità umana innata non saremmo certo giunti alla società attuale, con tutte le sue storture.
      C’è un’altra cosa, molto più terra terra. Penso che il sistema massmediatico non punti a fare il lavaggio del cervello tout court alla gente, in stile 1984 di Orwell, a trasformare tutti in persone che ‘amano il Grande Fratello’. Non ci riuscirebbe mai con noi tre ad esempio, e con la gente come noi. Però è capace di farci sentire come fuori dal mondo circondati da una massa di idioti apatici, demoralizzando mortalmente. Penso sia il caso di riflettere bene ogni volta che si prova questa sensazione, su quanto sia costruita dall’esterno.

    • Interessanti i leverage di Armando.
      Leggerò con attenzione il suo articolo quando lo pubblicherà.

      Non di meno avanzo un’osservazione.
      I punti di leverage in statistica sono considerati outliers che si scostano dal fitting della regressione.
      Rappresentano le criticità nei sistemi di relazione.
      Possiamo supporre, con buona ragione, che i punti di leverage, in futuro, aumenteranno a dismisura; proprio perchè questa fase crepuscolare aprirà scenari inediti che complicheranno ulteriormente le già latenti tensioni sociali.
      Detto questo però, nessuno ci autorizza a ritenere che, stanca del vecchio sistema, la popolazione direzionerà la sua attenzione alla decrescita.
      Anche perchè, è lecito supporlo, dalla crisi scaturirà una accentuata fase di deprivazione che i media chiameranno ( come stanno già facendo) decrescita.

      Nel mezzo della tragedia sociale vi saranno ben pochi menti disposte a distinguere tra deprivazione e decrescita, tra scelta di modelli di vita alternativi e privazioni crescenti.

      La domanda di Giulio è piu’ che pertinente: come si può riuscire a trasformare la delusione, lo sdegno, il rancore generalizzato in speranza di orizzonti migliori ?
      Io, da questo punto di vista sono assolutamente pessimista.
      Non credo affatto che le forme di organizzazione spontanea ( GAS, DES ecc.) riusciranno a permeare l’opinione generale e diventare modelli economici e sociali per il consumo critico e alternativo.
      Lo dico perchè vivo la realtà sia dei GAS che dei DES.
      Non ho alcuna speranza nel cambiamento.
      Per cui penso che le uniche risposte che si possono dare alla crisi siano di tipo individualistico.
      Ciascuno si copra le terga e prepari la sua personale Arca: il diluvio è alle porte.

      • Ecco, Daniele introduce un altro ordine di problema importante. In un mondo dove tante persone e gruppi chiacchieroni di dubbio valore pontificavano verità rivelate, chi veramente fa qualcosa di concreto e che potrebbe incidere su propoporzioni più vaste è il primo a sminuire quello che fa, l’ultimo a rendernsene conto. Come ben sa Giulio, è una critica che rivolgo spesso ai ‘pratici’, e che rende importante la presenza di ‘teorici’ che per qualche ragione sanno apprezzare a dovere certi fenomeni.
        Per il resto, non posso confutare la fosca previsione del futuro di Daniele: per quanto spesso accusato di essere saccente, non lo sono fino a questo punto! Anzi, mettendo insieme dati a disposizione si è portati a credere che si tratti di una ricostruzione più che credibile.
        Poi però mi accorgo che, se fossi dall’altra parte della barricata (cioé se fossi tra coloro che trae guadagno dall’insensatezza della società della crescita) vorrei proprio che la gente la pensasse così. Individualismo oggi, individualismo domani, una realtà che non si può cambiare. Ciò non significa che la previsione sia quindi da ribaltare, però mi accende un campanello di allarme.

  4. I punti 1,2 e 3 di Armando sono piu` o meno tutti della categoria “condizioni negative esterne da risolvere” (condizioni negative della popolazione, disastri ambientali e mancanza di risorse), mentre il quarto concerne la “condizione negativa interna di mancanza di valori nell’individuo”.
    Il pessimismo di Daniele sull’efficacia dei Gruppi Spontanei e` purtroppo condivisibile, anche se mi chiedo perche`, cioe` siamo condizionati ad essere depressi e pessimisti, come dice Igor ?
    Tale pessimismo sembra dirci comunque che le condizioni 1,2 e 3 non sono ancora arrivate, altrimenti i Gruppi dovrebbero essere piu` efficaci.
    Possiamo dirci quindi che solamente il punto 4 e` gia` al lavoro perche` noi quattro “amici al bar” ci stiamo gia` muovendo a pensarci su ?

    Leggevo recentemente un articolo di psicologia (non ricordo bene dove, forse Scientific American) che diceva come di fronte al rischio della vita, tutti, indipendentemente dall’ideologia politica, estrazione sociale o credo religioso, si alleano per la salvezza… se capiscono che sono sulla stessa barca (lo studio citava esempi dell’equipaggio di un bombardiere minacciato dai caccia nemici e di navi che stanno per affondare… Schettino a parte…).
    Quindi mi sembrerebbe confermato che la leva, la molla, la causa efficace, potra` essere solamente un disastro ambientale cosi` pesante da farci davvero paura.
    E allora mi sembra siamo gia` tutti d’accordo con Daniele: prepariamo l’arca.
    Ma io aggiungo: stiamo attenti a chi ci facciamo salire… e soprattutto a chi mettiamo al timone!

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