«Le ineluttabili disfunzioni della megamacchina (contraddizioni, crisi, grandi rischi tecnologici, disfunzioni) sono fonte di insopportabili sofferenze e causano disastri che è necessario deplorare. Si tratta, nondimeno, di occasioni utili per prendere coscienza della reale situazione in cui viviamo, per metterla in discussione e rifiutarla, se non addirittura per ribellarsi»
Serge Latouche
Le catastrofi dovrebbero far riflettere sulle loro cause e facilitare dei cambiamenti, se ci occupiamo solo degli effetti non cambierà nulla, tutt’al più peggiorerà. Questo vale quando le cause sono attribuibili al comportamento dell’uomo. È questo il caso degli stravolgimenti climatici (cambiamenti non è a mio avviso il termine adatto) che si stanno verificando in tutto il globo, in modo sempre più visibile col passare del tempo. Non ci sono evidenze scientifiche dirette che comprovino la relazione tra questi avvenimenti tragici e l’impronta ecologica umana: ognuno si dà la spiegazione che vuole, e si creerà la visione che preferisce. Da parte mia, non ho bisogno di prove scientifiche dimostrabili per comprendere che l’uomo sta degradando il suo ambiente e quindi se stesso, in modo diretto o indiretto, consapevole o inconsapevole che sia. Come non ho bisogno di dimostrazioni scientifiche per capire che un inceneritore è una follia, che incendiare i rifiuti di un’economia che depreda le risorse naturali a un ritmo sempre più incalzante è sacrilego, a prescindere di quanto siano buoni e tecnologicamente avanzati i sistemi di abbattimento degli inquinanti emessi.
Il cataclisma che si è abbattuto a Firenze il primo agosto, una vera e propria catastrofe ben localizzata in un’area ristretta, potrebbe essere una buona occasione per tutti. Una buona occasione da cogliere, politicamente, culturalmente, umanamente, per fare una riflessione, per mettere in discussione, anche solo per un attimo, qualcosa che per noi fino ad oggi è stato del tutto scontato. Perché nasca forse un dubbio, una minima incertezza che sia capace di farci fare un passo indietro, o quantomeno ci faccia sostare un attimo a riconsiderare cos’è la nostra vita, e cosa vale la pena farne.
Tre uragani in dieci mesi, nel solo Comune di Firenze, tre eventi climatici senza precedenti: provate a chiedere ai più anziani. Venti oltre i centocinquanta chilometri orari, pioggia di intensità inimmaginabile. Davanti a questi eventi, parlare di prevenzione fa quasi ridere: non siamo abituati a certe manifestazioni, e il guaio è che dovremmo farlo molto rapidamente, senza tuttavia poter controllare la forza bruta di Madre Natura quando si scatena in modo così intenso. Le cause di molte delle catastrofi ambientali che si stanno verificando solo in parte sono attribuibili alla mancata prevenzione, alla manutenzione del territorio, quanto a un vero e proprio stravolgimento ambientale provocato da decenni e decenni di sviluppo incosciente.
Di fronte a tale evidenza, molti cercano spiegazioni negazioniste (l’ultima che ho sentito: “questi eventi si sono sempre verificati, magari avvenivano nei boschi e nessuno ci faceva caso”) oppure anche se in certi casi si riconosce le nostre responsabilità non si va oltre all’intervento sugli effetti delle catastrofi, mai si arriva alla causa ultima. Il motivo di ciò è che non si considera minimamente concepibile un ripensamento dei dogmi su cui la società dei consumi è stata fondata ed ha prosperato. Non ci sono alternative. L’unica alternativa è tornare indietro, regredire verso l’età della pietra, come se ci muovessimo su una linea retta in cui le uniche possibilità fossero procedere avanti o andare indietro.
Effettivamente l’attuale sistema economico viaggia su un binario ben preciso, che può condurre solo al baratro, ma per fortuna abbiamo la possibilità di rallentare il nostro treno e, quando saremo in grado, di scenderne per proseguire il nostro cammino verso infinite direzioni. La vita è questa. Non è un binario a senso unico, dove esiste un’unica certezza, il dogma della crescita infinita, e nessuna possibilità. La vita è uno spazio aperto, fatto di innumerevoli percorsi alternativi, dove non c’è nessuna certezza, ma “soltanto” infinite possibilità.
Un programma per la decrescita
(estratto da “La scommessa della decrescita” di Serge Latouche)
1) Tornare a un impatto ecologico sostenibile per il pianeta, ovvero a una produzione materiale equivalente a quella degli anni sessanta – settanta
2) Internalizzare i costi dei trasporti
3) Rilocalizzare le attività
4) Ripristinare l’agricoltura contadina
5) Trasformare l’aumento di produttività in riduzione del tempo di lavoro e creazione di impieghi, fio a quando esiste la disoccupazione
6) Incentivare la “produzione” di beni relazionali
7) Ridurre lo spreco di energia di un fattore 4
8) Penalizzare fortemente le spese per la pubblicità
9) Decretare una moratoria sull’innovazione tecnologica, tracciarne un bilancio serio e orientare la ricerca scientifica e tecnica in funzione delle nuove aspirazioni
Fotografia scattata sul Lungarno Colombo a Firenze, il giorno dopo il fortunale del primo agosto