0,99 € al kg – 3,00 € all’ora

Come applicare la decrescita?

0
2991

Il primo valore monetario espresso dal titolo di questo articolo è il prezzo che vedo su molti prodotti esposti nei negozi di ortofrutta gestiti da immigrati. I prodotti venduti a 0,99 € al kg normalmente sono esposti fuori dal negozio (ma alcuni prodotti sono venduti anche a meno, come si vede da una foto che correda questo articolo) mentre per altri prodotti esposti all’interno del locale il prezzo è maggiore. Questi negozi, non è una cosa secondaria, sono aperti tutti i giorni della settimana, senza interruzione per il pranzo e fino a tarda sera.

www.iltempo.it Foto 1 negozio di ortofrutta in una via di Roma

Il secondo valore monetario invece, da quello che ho sentito da vari servizi giornalistici, è la paga oraria di un bracciante immigrato che lavora nelle campagne del meridione e di altre parti d’Italia.
Non è possibile indicare con espressioni numeriche le condizioni concrete di lavoro e di vita di questi braccianti. Forse con delle foto è possibile solamente fare percepire qualcosa.

www.impresamia.comFoto 2 Lavoratori immigrati al lavoro

Quale analisi fare di questi fatti? Probabilmente le analisi saranno diverse a seconda delle condizioni materiali di vita di che le fa. La realtà è molto complessa, con le varie parti che la compongono dialetticamente interconnesse.
C’è il problema dello sfruttamento di questi braccianti da parte dei proprietari di aziende agricole e c’è il problema del caporalato (a proposito del caporalato si legga la voce in Wikipedia al link https://it.wikipedia.org/wiki/Caporalato ).

www.espresso.repubblica.itFoto 3 Lavoratore immigrato mentre prepara la cena. In secondo piano le tende usate come ricoveri.

Ma c’è soprattutto il fatto che quegli ortaggi, quella frutta raccolta dai braccianti immigrati è acquistata a 0,99 € a Bologna, a Milano, a Roma, a Napoli e in tutte le altre parti d’Italia. E’ acquistata da operai, da impiegati, da professionisti, da imprenditori, da badanti ucraine e moldave, da muratori rumeni, da immigrati magrebini addetti alle pulizie, da persone occupate e sottoccupate o disoccupate, da pensionati con le più diverse pensioni, da persone povere e da persone benestanti…ma il prezzo di quei prodotti è identico per tutti: 0,99 €!!
Ci sono tante altre cose da analizzare. Sarebbe interessante sapere il canone di affitto (o il prezzo di acquisto nel caso di compravendita) che questi negozianti immigrati pagano ai proprietari dei locali occupati dai negozi e delle abitazioni in cui vivono (i proprietari ovviamente sono tutti italiani), sarebbe interessante sapere la provenienza dei capitali utilizzati per aprire queste attività (provengono dal traffico di oppio-eroina che interessa soprattutto l’Afganistan e il Pakistan?), ecc. ecc.
Un altro aspetto della realtà è l’idea si sono fatti gli italiani di queste persone?
Qualche tempo fa parlavo con una signora che abita vicino casa mia e con cui ogni tanto ho scambiato qualche parola. Le ho detto che sarebbe bene che gli immigrati che gestiscono i negozi di ortofrutta abbiano il giorno libero ogni settimana e che la sera possano andare a cenare con la loro famiglia invece che stare in negozio per tenerlo aperto fino a tardi.
La risposta è stata:”…ma sono immigrati!!” (nel senso, per evitare incomprensioni, che non era il caso di preoccuparsi visto che sono immigrati!)
Avevo posto la stessa domanda a un signore incontrato in biblioteca e che avevo incontrato molti anni prima durante una escursione in montagna.
La risposta è stata: ”Ma no, perché loro sono di altre religioni e non hanno le nostre stesse abitudini in tema di giorno libero per cui un giorno che va bene per alcuni non va bene per altri, ecc.”
Ricordo di avere posto la stessa domanda a una collega di lavoro e la risposta è stata: “Loro hanno questa usanza di tenere sempre aperti i negozi, di non avere giorno libero e di stare aperto anche la sera. Molti anni fa sono andata in Marocco e ho visto che i negozi sono sempre aperti, senza limiti di giorno o di orari.”
Per affrontare in modo corretto e approfondito il tema dell’immigrazione bisognerebbe fare delle ricerche lunghe e basate su una visione complessiva della realtà.
Nel frattempo viene pagato un prezzo: il prezzo pagato è di 0,99 € per i consumatori di Bologna, di Milano, ecc. per acquistare i prodotti ortofrutticoli venduti dai negozi gestiti da immigrati e di 3,00 € all’ora dalle aziende agricole per acquistare in nero, tramite i “caporali”, il lavoro dei braccianti immigrati che lavorano nelle campagne del meridione e di altre parti d’Italia. Il prezzo è anche rappresentato dalle pessime condizioni di vita e lavorative dei braccianti immigrati.
Ma la realtà, come si diceva, è molto complessa, con varie parti dialetticamente interconnesse che la compongono: c’è una cosa e c’è anche il suo contrario! Ricordo a tale proposito un film americano ambientato ai confini fra USA e Messico. I protagonisti erano due poliziotti addetti alla vigilanza del confine e al contenimento dell’immigrazione proveniente dal Messico. In una scena uno dei due poliziotti, in riferimento al fatto che il contenimento dell’immigrazione c’era e non c’era, dice all’altro poliziotto, giovane e inesperto: “…perché qualcuno le fragole dovrà pur raccoglierle!”

www.west-info.euFoto 4 Immigrati clandestini che scavalcano la barriera al confine fra Messico e USA. La sua costruzione sarebbe stata “Secondo alcuni esperti … solo una manovra per convincere i cittadini statunitensi della sicurezza ed impenetrabilità dei confini, mentre l’economia continuerebbe a beneficiare del continuo flusso di forza lavoro a basso costo in arrivo da oltre frontiera.”(da https://it.wikipedia.org/wiki/Barriera_di_separazione_tra_Stati_Uniti_d%27America_e_Messico )

E’ stato detto del prezzo che si paga per acquistare i prodotti ortofrutticoli venduti dai negozi gestiti dagli immigrati e di quello che le aziende agricole pagano per acquistare il lavoro degli immigrati ma può darsi però che a un certo punto qualcuno presenterà il conto per pagare un altro e un alto prezzo!!
…ma forse questo prezzo lo stiamo già pagando e non ce ne accorgiamo!!

A questo punto l’articolo era praticamente terminato (in seguito magari avrei fatto solamente qualche aggiustamento e correzione). Avevo anche scelto le foto con cui corredarlo.
Invece trovo nella buca delle lettere una rivista mensile che una società cooperativa della grande distribuzione al dettaglio invia ai soci: ciò mi induce a continuare l’analisi del tema perché la rivista che mi è arrivata parla del tema in questione (la rivista mi è arrivata l’8 giugno scorso ed è la n° 3 aprile 2016 [l’articolo in questione è nelle pagg. 24-27]).
Spesso vado a fare la spesa presso i supermercati di questa società anche per utilizzare i buoni-pasti che mi sono dati dall’azienda dove lavoro (e che non tutti i supermercati di altre società accettano in pagamento).
Sulla copertina della rivista sono riportati i punti più importanti di un articolo contenuto nella rivista stessa. L’articolo parla di una campagna lanciata da questa azienda della grande distribuzione volta a combattere il caporalato e lo sfruttamento del lavoro nero.
La rivista dice che, secondo le stime, il fenomeno interessa 400 mila lavoratori, per l’80% stranieri. La rivista dice che la società in questione non parte da zero perché già in passato si è impegnata per un controllo volto a combattere i fenomeni dello sfruttamento del lavoro nero e del caporalato. Adesso la società intende fare un ulteriore passo in avanti: sarà chiesto a tutti gli 832 fornitori nazionali e locali di ortofrutta (per oltre 70.000 aziende agricole) di sottoscrivere l’adesione ai principi del Codice Etico che contempla una serie di impegni per il rispetto dei diritti dei lavoratori e prevede l’esecuzione di un piano di controlli a cui non si può venire meno, pena, in caso di non-adesione, l’esclusione dal circuito.
La rivista dice inoltre che dai controlli effettuati dagli auditor di Bureau Veritas (società leader a livello mondiale nei servizi di ispezione, di verifica di conformità e di certificazione) che hanno coinvolto i fornitori nella filiera degli agrumi della società della grande distribuzione al dettaglio di cui si sta parlando, non hanno evidenziato nessuna segnalazione di gravi non conformità (caporalato, lavoro nero o casi di discriminazione).
La campagna indetta dalla società in questione è volta anche alla richiesta, rivolta alle 7.200 aziende coinvolte nella fornitura dei prodotti a marchio della società, di iscriversi alla Rete del Lavoro Agricolo di Qualità promossa dal Ministero delle politiche agricole nel 2015. Questa iscrizione attesta di essere un’azienda pulita, in regola con le leggi e i contratti di lavoro, non aver riportato condanne penali e non avere procedimenti in corso.
A proposito dei prezzi dei prodotti ortofrutticoli dice il presidente di questa società che “…vogliamo affrontare anche il tema dei prezzi nel settore ortofrutticolo, perché spesso è lì che si trova un indicatore dell’illegalità. La volatilità dei mercati è elevata, ma si possono e si debbono trovare le soluzioni, affinché sia i consumatori che i produttori abbiano il giusto prezzo. Come…(nome società)…siamo attenti a riconoscere ai produttori agricoli prezzi equi, non il prezzo più basso del mercato che in certe filiere nasconde l’illegalità.”
Ovviamente si rimandano i lettori di questo articolo alla lettura dell’articolo in questione per dare un giudizio autonomo su quanto detto.
L’idea che mi sono fatto è che siano serie le iniziative fatte da questa società della grande distribuzione al dettaglio e volte a combattere il caporalato, lo sfruttamento del lavoro nero ed altre irregolarità. Ho le prove di quanto dico: il prezzo dei prodotti ortofrutticoli venduti dai supermercati di questa società è enormemente superiore ai 0,99 € al kg praticati per molti prodotti dai negozi gestiti da immigrati ed è superiore anche ai prezzi praticati da altri supermercati di altre società della grande distribuzione al dettaglio.
Si vuole terminare l’articolo parlando del rapporto fra i temi trattati da questo articolo col tema della decrescita, visto che il blog su cui è pubblicato si chiama Decrescita felice social network.
Il rapporto è molto semplice: questo articolo espone una realtà molto complessa e contradditoria e le proposte di decrescita, se pretendono di essere valide, devono confrontarsi con tali realtà complesse e contradditorie e devono dare soluzioni valide; soprattutto devono sempre partire dalla considerazione che ci sarà sempre un prezzo da pagare, sia monetario che d’altro genere!!

Fonte foto
La foto in evidenza è fatta da me e riguarda un negozio di Bologna gestito da immigrati
Foto 1 da www.iltempo.it
Foto 2 da www.impresamia.com
Foto 3 da www.espresso.repubblica.it
Foto 4 da www.sociale.corriere.it

CONDIVIDI
Articolo precedenteReferendum trivelle: i nodi vengono al pettine
Articolo successivoBarbarie morale
Sono nato in Lucania nel lontano 1951 e abito a Bologna da circa trent’anni. Ho sempre avuto interesse, da più punti di vista, verso i “destini” (sempre più dialetticamente interconnessi) dell’umanità: da quello dei valori culturali che riempiano l’esistenza a quello delle condizioni materiali di vita (dall’esaurimento delle risorse naturali ai cambiamenti climatici, ecc.). Ho visto nel valore della “decrescita” un punto di partenza per dare un contributo alla soluzione dei gravi problemi che l’umanità ha di fronte.

Lascia un commento

Inserisci il tuo commento
Inserisci qui il tuo nome

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.